| Non ci saranno posti riservati, 
		mercoledì sera, in cattedrale. "L'AssembleaOrante" non prevede distinzioni, privilegi, o peggio, raccomandazioni. 
		Si canterà per il tempo delle giuste emozioni. Si pregherà, soprattutto. 
		«Che il popolo canti!», diceva il vescovo Rodolfi. Ma talvolta vien da 
		dire: «Quale popolo? Non vedete le chiese vuote? Dove sarà mai andato, 
		questo popolo che dovrebbe intonare la poesia della fede, la felicità di 
		credere?».
 
		La stupenda intuizione di padre David Maria Turoldo è stata quella di 
		ricostruire i salmi in forma strofica, come sono stati pensati i grandi 
		corali delle altre Chiese europee. Ed ecco che l'inizio del salmo 41: 
		"Come un cervo anela a ruscelli di acque" si inebria nell'endecasillabo 
		"Come una cerva sospira alle fonti"; ecco il finale del salmo 22: 
		"...ritornerò nella dimora del Signore per giorni senza fine" liberare i 
		decasillabi "io starò nella casa di Dio / lungo tutto il migrare dei 
		giorni".
		
		 
		Canteremo tutti. E pregheremo. Chi arriva presto siederà davanti, dove 
		di solito si mettono le autorità che mai cantano e mai pregano, che 
		nelle messe, ma anche nei concerti, guardano l'orologio con malcelata 
		impazienza. Ma non sarà, no, non sarà un concerto. Sulla gradinata che 
		si innalza al presbiterio ci saranno duecento voci che canteranno al-l'unisono sostenute dall'arte organistica di Francesco Finotti. Da 
		Asiago scenderà il coro parrocchiale del duomo, dove il salmi, gli inni, 
		i cantici di Turoldo, proposti da Andrea Pinaroli, vengono intonati da 
		molto tempo nelle liturgie. Ci sarà la Cappella Monteberico di padre 
		Ruggero Pitton, che nei concerti polifonici inserisce spesso la 
		trasparenza della poesia turoldiana, la sola capace di coinvolgere e di 
		commuovere. Da Colognola ai Colli, all'imbocco della Valle d'Illasi, 
		verrà il gruppo parrocchiale condotto da Eliana Lerco di San Zeno, "la 
		Pieve campestre della tenerezza", dove padre David andava spesso a 
		cercare conforto dagli attacchi anche violenti dei suoi detrattori. Ed è 
		stata, la sua, una lunga stagione di sofferenze, di tormenti, di 
		incomprensioni, di persecuzioni non ancora finite. Dalla Lessinia, la 
		montagna veronese, proprio da Velo, verranno le ragazze e ragazzi del 
		vivacissimo Coro La Falìa con la creativa direziono di Alessandro 
		Anderloni, commediografo, regista, scrittore e poeta. Dalla città di 
		Verona verranno i quaranta giovani del Coro la Cordata, che con la 
		direzione di Francesco Peruch, violoncellista di speranza, hanno portato 
		ovunque il cantare disteso dell'arte e della fede, fino a Nomadelfia 
		poco tempo fa, nel miracolo mai concluso di don Zeno Saltini. E ci 
		saranno i miei forti Crodaioli. 
		Proseguiremo così, idealmente, dalle alte, sapienti e illuminanti parole 
		di monsignor Ravasi che nel pomeriggio, sempre in cattedrale, inviterà 
		Vicenza ai giorni intensi della Bibbia. 
		Ismaele Passoni, giovane intellettuale bergamasco, lavorava a far 
		melodie nuove e profondamente ispirate sulle poetiche strofe turoldiane. 
		Erano gli anni Settanta. L'ufficialità musicale lombarda pareva non 
		accettare la novità di quel cantare in melodia chiusa, facilmente 
		memoriz-zabile, che proseguiva dalla migliore tradizione liturgica, 
		mentre intorno si salmeggiava nei recitativi solistici con traduzioni 
		impossibili, mentre nel dopo-Concilio arrivavano da ogni dove le 
		invenzioni musicali più strampalate che ancora, purtroppo, resistono 
		oltre il decoro e soprattutto oltre il buonsenso. Una sera che padre 
		David concelebrava la messa a Bergamo con il vescovo Gaddi, sentendo un 
		coro che cantava "Resta con noi, non ci lasciar, la notte mai più 
		scenderà. .. ", disse sottovoce: «Che testi, Dio mio, che testi». E il 
		coraggioso vescovo, che più volte lo aveva aiutato e difeso, rispose: 
		«No che testi: che teste!». 
		Un altro giorno di quegli anni, che a Monte Berico, in un'animata tavola 
		rotonda, il vescovo Zinato discuteva con monsignor Dalla Libera sulla 
		scelta dei nuovi canti per la messa, anche sulla loro durata, mi alzai a 
		dire che se le prediche fossero state meno lunghe, più misurate, meno 
		torrenziali e meno dispersive, ci sarebbe stato lo spazio ideale per 
		cantare e pregare. Il battagliero monsignor Dalla Libera sottolineò 
		subito, allora, il lontano invito del vescovo Rodolfi alla diocesi 
		vicentina e all'Italia: «Che il popolo canti». C'era anche padre Turoldo, 
		che mi invitò a Sotto il Monte per affiancare Passoni nel lavoro 
		musicale. Veniva, padre David, dal Capitolo dei Servi di Maria. A un 
		amico aveva confidato: «Se non imparo a trattenermi, qui mi fanno fare 
		el salto del sbiro». 
		E stato un lungo tempo di speranza, di felicità. Di illusioni? David, 
		nelle sere operose, citava spesso agli amici una frase di Goffredo 
		Parise: «La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei: non bada 
		ai nostri programmi». Lassù, a Sant'Egidio, la poesia correva sulle 
		stagioni, la si respirava nel profumo del fieno, nel silenzio dei 
		boschi, nella festosità dell'uva, delle castagne, nel miracolo della 
		neve. E si cantava "Resta con noi, Signore, la sera, quando le ombre si 
		mettono in via... ti conosciamo nel frangere il pane... senza di te ogni 
		cuore è un deserto". Una domenica di fine maggio, mentre ci si preparava 
		alla messa, tuonò un temporale col cielo subito scuro. Padre David, già 
		pronto con la casula bianca, disse alla gente «Andiamo a dare una mano a 
		raccogliere, a salvare il fieno: la messa può aspettare». 
		Mercoledì canteremo anche il salmo 120, "Gli occhi miei sollevo ai 
		monti", con là melodia che respira nella semplicità delle cinque note, 
		diremo di Maria nel cantico "Te beata perché hai creduto"; reciteremo 
		tutti insieme "Vieni, figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la 
		pace..."; canteremo il dolore e la nostalgia dei deportati nel salmo 136 
		"Lungo i fiumi, laggiù, in Babilonia"; con l'organo liberato nella sua 
		potenza si dialogherà nella festa del salmo 150 "Date lode al Signore, 
		alleluia". 
		A Milano, in quel febbraio del 1992, poche ore prima di morire, padre 
		David mi disse «Bepi, ti raccomando i salmi». E per non piangere gli 
		ricordai quella mattina di domenica che a messa, vedendo un suo vecchio 
		contadino in piedi con la moglie in fondo alla chiesa, scese dall'altare 
		e, attraversando l'abbazia, li accompagnò a sedere nella sede, lo 
		scranno del celebrante. Ecco perché mercoledì, alle 21, senza posti 
		riservati e senza distinzioni, saremo un'unica, grande Assemblea Orante. |