| Ad Arzignano chiude anche l'ultimo fornaio di periferia.
        Insisteva a fare con amore e con arte "ciope e rosette e pan biscotto", poi, con la moglie Giuseppina, i dolcetti della tradizione: amaretti,
        bresciane, tortesecche, spumiglie, broadèi e focacce pasquali. Ah, come sono lontane le processioni del Venerdì Santo con le colombe e
        i parpagnacchi esposti devotamente davanti alla vetrina illuminala nella
        sera: quasi una consolazione alle Veroniche piangenti, ai Confratelli panciuti e alle Figlie di Maria.
 Per noi Luigini puriefòrti, specialisti segreti degli "atimpuri", erano tentazioni da soddisfare nel
        caffelatte del Sabato Santo, nell'attesa delle campane finalmente slegate per Gesù risorto. Ma a Chiampo, e
        si sentiva dallo scampanio portato dal vento della valle, lo facevano risorgere molto prima di noi
        perché i  frati dovevano poi confessare tutto il giorno.
 
 A Castello chiude il fornaio De Marzi, mio cugino, figlio di Cirillo mio zio, che era figlio di Bepi, mio
        nonno. Le mie prime suonate in chiesa venivano identificate come quelle di " Bepin fornaro". Galliano, ultimo panificatore, chiude per malinconia.
 
 Non si è mai adattato a far ciabatte polesane o schiacciate arabe. Nemmeno ha sfregolato la moda del
        "pan cassetta". Ha fatto un poco di pane al latte per i bambini dell'asilo, ma si è pentito subito. Nemmeno è
        andato avanti con i sempre più richiesti cornetti all'olio,friabili e attaccaticci, che piacciono tanto ai
        veronesi, quelli che bevono perfino l'amarone convinti che non sia dolce. Mio papà lo chiamava
        "cremamarsala de Bovolon".
 
 Galliano De Marzi chiude anche perché ormai dalla sua bottega non passa
        quasi più nessuno. La piazza di Castello d'Arzignano è stata ripensata per
        l'improbabile turismo ignorando i residenti. Ci sono perfino i lampioni copiati da Piazza San Marco. Alla
        casetta gialla dove sono nato, tra le due finestre della camera dei miei genitori, hanno infisso un lampione 
        da Canal Grande. Galliano, con gli orari da fornaio, tra il rumore della strada e quella della luce invadente, non
        ha più dormito lì e si è ricavato un angolo in granaio, come suo figlio.
        Evidentemente, nelle stanze delle soprintendenze regionali alle Belle Arti ci sono sempre
        meno competenti di architettura medievale, ma forse anche di semplice architettura. Poi l'invenzione del
        senso unico a Porta Cisalpina, che spinge gli autisti in salita ad aggredire
        rumorosamente gli sconnessi e ingiustificabili cocci di basalto nero dell'allucinante
        pavimentazione.
 
 I vigili urbani, sempre più fieramente impegnati a fare gli sceriffi travestiti
        da cacciatori di taglie, con l'orgasmo di scovare poveri clandestini disperati,
        hanno smesso, pare, di infierire sull'indispensabile sosta sulla piazza, ma hanno dimenticato i pericoli
        della velocità. Via Trento, per esempio, che è giù in città, è a tutte le ore il rettilineo della follia.
 
 Un architetto delle campagne padovane, che deve aver vinto anche qualche immancabile concorso, ha
        realizzato u'amena stradina sotto le mura castellane, quelle a monte, e ha pensato di fare il
        luogo di passeggiate silenziose e di un periodico mercatino d'antiquariato. Ma non si è accorto che è il
        posto più freddo della collina, dove tira il maestrale anche d'agosto: ha fatto piantare i soliti cocci neri,
        vanto e condanna della castellanità, in modo da rendere difficoltoso il traffico delle auto, ma anche ai
        pedoni che fuori dal marciapiede dovrebbero calzare le pedule da ghiaione dolomitico. Si è cercato allora di
        ovviare al ridicolo con due carraie di tracite. Ma il grottesco rimane.
 
 "Il frate del pane" si annunciava melodiante il frate "sercantòn" della Pieve
        che girava scalzo, con la bisaccia a tracolla. Ma il pane ha perduto da tempo il
        profumo delle mani, e anche quello del frumento. Mio cugino  non aveva nemmeno addobbato
        l'ingresso della forneria con lo stile delle casette altoatesine e degli
        orologi a cucù con la scritta "Boutique del pane".
 
 Per la tristezza  non ha più nemmeno "cavato" la licenza di caccia, tradizione di famiglia che io e i miei
        fratelli non abbiamo osservato. Con il fornaio del Poggio di Giano, con Galliano De Marzi di Castello,
        chiude ormai il tempo dell'artigianato. Ma anche quello della poesia.
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